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"COACH WOODEN AND ME"

    Karim Abdul-Jabbar

ADD Editore - 2017

Nonostante il mio scarso interesse per il basket, nel corso degli anni 80 ho seguito la fase finale della carriera di Kareem Abdul Jabbar, e credo di avere sempre avuto una giusta considerazione della sua caratura di atleta.

Prima di leggere questo libro, invece, non sapevo chi era John Wooden. Né sapevo che, oltre a quelle sportive, Jabbar aveva dimostrato anche grandi doti intellettuali, pubblicando numerosi saggi e svolgendo docenze universitarie.

Questo volume, edito nel 2017, è la storia di un rapporto personale evolutosi nel tempo.

In una prima fase, quando l’Autore (allora ancora Lewis Alcindor, prima della conversione all’Islam) ha scelto l’università della California tra le tante che si erano offerte di valorizzare il suo già evidente talento, si è trattato soprattutto di una relazione tra allenatore e giocatore. Nel corso degli anni, tuttavia, si è creato tra il mentore e l’allievo ormai consacrato un legame di confidenza, che è sfociato in una bellissima amicizia quando il tempo e la maturità hanno consentito un confronto sempre più paritario.

Dopo la morte di Wooden, avvenuta nel 2010 pochi mesi prima del centesimo compleanno, Jabbar ha iniziato a raccogliere i tantissimi pensieri che potevano descrivere il ruolo assolutamente centrale avuto dal coach nella sua vita ed in quella di tantissimi altri allievi.

Dal punto di vista prettamente sportivo, la bravura di John Wooden è attestata da un palmares che fa di lui uno dei più grandi allenatori della storia dello sport. Nel libro, tuttavia, l’Autore sottolinea più volte come le competenze tecnico-tattiche del coach fossero indissolubilmente legate alla sua visione etica dello sport. Come in tanti altri casi (i primi che mi sovvengono sono Toni Nadal, Bielsa, Sacchi) non si trattava di soli precetti morali, ma di un diverso modo di perseguire, ferocemente, la vittoria. Emblematica, in questo senso, risulta la risposta che Wooden diede ad un giocatore che gli ricordava la famosa frase di Henry Russell (“vincere non è importante: è l’unica cosa che conta”): “vincere non è il nostro obiettivo: è l’effetto collaterale del nostro obiettivo, ovvero del duro lavoro”.

Il senso non era, evidentemente, sminuire l’importanza del risultato – tutt’altro – ma indicare la via più sicura per raggiungerlo. A tal fine, già nei primi anni del suo lavoro Wooden creò la sua “Piramide del successo”, in cui rappresentava graficamente e dava ordine logico alle numerose componenti che portano a conseguire i risultati prefissati. Essendo basata in particolare sul modello dello sport di squadra, la Piramide rappresenta tutt’oggi un manuale di indirizzo molto studiato e considerato nella gestione dei gruppi di lavoro.

Attraverso innumerevoli aneddoti ed aforismi fulminanti, Jabbar descrive la cultura del lavoro e della responsabilità trasmessa dal coach, che aveva riflessi anche sul modo di giocare delle sue squadre (pare, ad esempio, che vietasse giocate troppo fantasiose ed odiasse le schiacciate, perché inutilmente appariscenti e poco eleganti).

Eppure questa incrollabile fede nei propri valori non portò mai Wooden a trasformarli in dogmi o in integralismi, né in campo né fuori. Jabbar, infatti, sottolinea più volte come un’intelligenza ed una curiosità non comuni abbiano sempre reso il coach aperto al confronto, al dialogo, all’aggiornamento (anche qui, al netto delle grandi differenze di temperamento tra i due, può sorgere un parallelo con Toni Nadal).

Proprio questa caratteristica, condivisa da Jabbar, ha consentito ai due di procedere in parallelo nonostante le tante differenze tra i due (anagrafiche, sociali, culturali, politiche, religiose), ed anzi di trarre da esse linfa vitale.

Particolarmente importante, nel racconto, è il tema della discriminazione razziale, che fin dall’adolescenza l’Autore ha posto al centro della propria esperienza di vita e che probabilmente ha inciso anche nella sua conversione all’islamismo.

La parte conclusiva del libro, seguendo la cronologia degli eventi, è destinata agli ultimi anni del legame con Wooden, in cui eventi avversi e drammatici – la scomparsa della adorata moglie del coach, la malattia di Jabbar – sono stati superati anche grazie al reciproco aiuto.

Molto toccante risulta il racconto dell’inevitabile distacco, che rappresenta il compendio della narrazione e di un rapporto durato mezzo secolo.

Pur avendo rappresentato per entrambi i protagonisti il centro delle proprie passioni, il basket rimane sullo sfondo nella narrazione. Anche per questo, oltre che per l’ironia e la notevole profondità di analisi, si tratta di un libro assolutamente fruibile e di piacevolissima lettura. 

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