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"HO VISTO DIEGO  (E DICO 'O VERO)"

Ciro Ferrara

Cairo - 2020

La scomparsa di Diego Armando Maradona, avvenuta il 25 Novembre, ha provocato grande cordoglio in tutto il mondo. La notizia mi ha colto a metà della lettura di questo libro, che era stato pubblicato da poche settimane con la prefazione dello stesso campione argentino e costituiva anche il regalo di Ciro Ferrara per il sessantesimo compleanno di Maradona.

Non si tratta di una biografia dell’uomo o del campione: l’opera non ne ha le dimensioni, il respiro, forse anche la pretesa di totale obiettività.

Più propriamente, può essere considerata la biografia di un’amicizia nata per la splendida congiuntura astrale che ha portato nella stessa squadra il fenomeno predestinato proveniente da Barcellona ed il ragazzo delle giovanili aggregato nel ritiro precampionato.

Il titolo del libro riecheggia il refrain di un noto coro da stadio ed intende proprio sottolineare la conoscenza dell’uomo-Diego in contrapposizione (o meglio, nel caso dell’Autore, in aggiunta) a quella del calciatore-Maradona, che tutti in qualche misura abbiamo avuto.

Il racconto parte dall’arrivo di Diego a Napoli, in quel caldo ed incredibile pomeriggio del 5 Luglio 1984 in cui il San Paolo gremito diede il benvenuto al suo idolo ed iniziò un legame indissolubile, basato su un’affinità elettiva che andava molto oltre il terreno di gioco.

Ferrara spiega molto bene come Maradona abbia cambiato la mentalità della squadra e della città, indicando la via per costruire nel breve periodo un progetto vincente. Ciò avvenne non solo per l’enorme talento che l’argentino dispensava in campo, ma anche grazie al carisma che diede appeal alla società e consentì di portare a Napoli giocatori importanti e decisivi, a partire da Bruno Giordano.

Un apposito capitolo è dedicato al momento in cui, secondo l’Autore, maturò la svolta: il famoso gol con cui il 3 Novembre 1985 il Napoli batté la Juventus, interrompendo un ciclo di otto vittorie consecutive.

La bellezza di quel gesto tecnico fu un fortissimo segnale per tutto il calcio italiano e diede all’ambiente napoletano la piena consapevolezza delle proprie possibilità di vittoria, che si concretizzarono l’anno successivo con il primo, storico scudetto e con la conquista della Coppa Italia.

Sempre seguendo la cronologia degli eventi, Ferrara descrive la crisi che portò il Napoli a subire la rimonta del formidabile Milan di Sacchi ed il successivo trionfo di Stoccarda in Coppa Uefa. Arrivò, poi, il secondo scudetto, in cui l’apporto di Maradona fu più sfumato e discontinuo, fino a declinare irrimediabilmente dopo i mondiali del 1990 e concludersi con il mezzo “ammutinamento” di Mosca, la squalifica e l’addio all’Italia.

La parabola sportiva del campione argentino viene narrata in parallelo con quella più strettamente personale, che Ferrara, abitando al piano di sotto nello stesso stabile di via Scipione Capece, ha potuto seguire da un osservatorio assolutamente privilegiato.

Sebbene le abitudini sregolate di Maradona fossero note in città e presso la società, il loro progressivo peggioramento e la sempre più frequente assenza dagli allenamenti (compensata in parte da solitari esercizi nella palestra-garage) attribuirono spesso a Ferrara da un lato il ruolo di primo ambasciatore presso Diego, e dall’altro quello di “barometro” in grado di segnalare giorno per giorno ai compagni umore ed intenzioni del Diez.

Attraverso una narrazione godibile ed in coerenza con l’obiettivo del libro, l’Autore si sofferma su alcuni tratti peculiari della personalità di Maradona, a suo avviso non adeguatamente conosciuti o considerati nella pubblica opinione. Tra quelli positivi certamente bontà, generosità, spirito di sacrificio, leadership, umiltà; tra quelli che hanno contribuito alla sua dannazione: cocciutaggine, incapacità di gestire una popolarità sempre più soffocante e di sottrarsi a compagnie poco raccomandabili.

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