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"L'ULTIMO RIGORE DI FARUK - UNA STORIA DI CALCIO E GUERRA"

Gigi Riva

Sellerio - 2016

La prima considerazione su questo libro nasce inevitabilmente dal nome dell’Autore. Quando si ha la ventura di chiamarsi Luigi Riva, di avere come diminutivo Gigi e di scrivere un libro legato al calcio diventa impossibile non generare, d’istinto, la domanda: proprio lui, quel “Gigi Riva”?

No, questo volume non è stato scritto dal grande campione del Cagliari scudettato e della nazionale, ma dal bravo giornalista del settimanale L’Espresso che ha seguito (allora, per Il Giorno) la guerra iniziata nei Balcani nell’ultima decade del secolo scorso, conosciuto anche come “il secolo di Sarajevo”.

A distanza di molti anni (il libro è stato pubblicato nel 2016), l’Autore racconta la vicenda bellica in parallelo con quella della squadra di calcio nazionale che ha cercato di evitare, ignorare o almeno ritardare la propria implosione sotto il peso di eventi più grandi di lei, divenuti via via sempre pesanti ed incontrollabili.

Il risultato è un bellissimo saggio storico-sportivo, vagamente romanzato ed incentrato sulla figura di Faruk Hadzibebgic, difensore bosniaco della nazionale jugoslava che partecipò al campionato mondiale del 1990 e sbagliò il rigore decisivo nei quarti di finale contro l’Argentina.

La suggestione proposta nel volume nasce proprio da quell’errore, e dalle conseguenze che avrebbe potuto avere l’eventuale successo della nazionale sul processo di sfaldamento della federazione jugoslava, già chiaramente in atto.

Emblematico, in questo senso, è il racconto di due partite giocate contro l’Olanda - la prima a Zagabria poco prima della partenza per i mondiali italiani e la seconda ad Amsterdam nel girone di qualificazione per gli Europei del 1992 – che videro dapprima l’aperta contestazione dell’inno nazionale e della squadra come simbolo dello Stato unitario, e poi in Olanda il sostanziale scioglimento della rappresentativa, già minata dalle defezioni dei giocatori sloveni e croati.

L’Autore descrive con grande efficacia il connubio perverso che in quella fase unì il calcio alla politica, con le tifoserie legate ad organizzazioni nazionaliste divenute luoghi di incubazione della protesta e talvolta veri e propri corpi paramilitari.

Già prima della guerra la “geografia calcistica” della Jugoslavia offriva alcuni riferimenti chiari (il Partizan Belgrado legato all’esercito, la Dinamo Zagabria simbolo dell’orgoglio croato, la Stella Rossa divenuta squadra della polizia), ma le pur accesissime rivalità erano rimaste nell’ambito unitario garantito dai decenni di governo titino, e non avevano offuscato il ruolo della nazionale.

Legata al calcio è perfino la figura di Radovan Karadzic, poeta-psichiatra e futuro presidente della Repubblica Serba di Bosnia Erzegovina, condannato all’ergastolo dal Tribunale de L’Aja per crimini di guerra. Hadzibegic, infatti, racconta di averlo avuto come assistente tecnico (una sorta di mental coach ante litteram) all’FK Sarajevo e lo rdescrive come persona fin troppo allegra ed affabile.

Di lui, come degli altri protagonisti della vicenda politica e militare (Milosevic, Izetbegovic, Tudjiman, Mladic), Riva traccia dei brevi ma interessanti profili, che completano il racconto.

Anche in Jugoslavia il calcio ha avuto sempre un altissimo valore simbolico e comunitario, ben più del basket, che pure nello stesso periodo mieteva successi nel mondo grazie ad un’eccezionale generazione di talenti come Kukoc, Petrovic, Divac. L’Autore dà una spiegazione singolare ed interessante di questa differenza, e del perché l’ultimo canestro della nazionale jugoslava (quello di Savic nei vittoriosi mondiali di Argentina) non ha avuto il significato emblematico del “rigore di Faruk”.

Per molti commentatori, oltre che per la stele commemorativa esposta fuori dallo stadio Maksimir, non è errato sostenere che la guerra fratricida nei Balcani è di fatto iniziata a Zagabria il 13 Maggio del 1990, durante la celebre partita tra Dinamo e Stella Rossa in cui la polizia - legata allo Stato centrale – caricò i tifosi di casa assaliti da quelli arrivati da Belgrado con pessime intenzioni, puntualmente realizzate.

In quella partita trovò fama e guai Zvonimir Boban, che partecipò alla rissa in campo colpendo un poliziotto e fu squalificato per sei mesi, saltando il mondiale italiano.

Altri nomi noti al pubblico italiano si incontrano nel proseguo del libro: Katanec, Stojkovic, Savicevic, Jozic, Stankovic, Jarni, Boksic, Stanic, Jugovic, Pancev ed ovviamente Mihajlovic, che nel rivendicare le ragioni del popolo serbo si espose in maniera spregiudicata, anche in relazione a personaggi indifendibili come Zeljiko Raznatovic, il tristemente noto “Arkan”. Colpisce particolarmente, in quest’ambito, il contrasto tra il fortissimo senso di appartenenza nazionalista e l’intreccio di etnie che caratterizzava già allora quasi tutte le famiglie.

Nell’opera assume poi, inevitabilmente, un ruolo centrale la figura di Ivica Osim, commissario tecnico della squadra jugoslava che tentò di salvaguardare l’integrità del suo gruppo proteggendolo innanzitutto dagli attacchi della stampa nazionale. Laureato in matematica, allenatore giramondo, personaggio carismatico, grazie alla sua professione fu una delle poche persone in grado di circolare quasi liberamente tra i territori interessati dal conflitto, e in questo senso rende testimonianze preziose.

Alcuni capitoli del libro sono dedicati alle singole partite del mondiale italiano, giocate contro Germania, Emirati Arabi, Colombia e Spagna, fino al match decisivo di Firenze contro l’Argentina.

Dopo un inizio stentato, la Jugoslavia sembrava aver trovato una sua dimensione, alimentando speranze e perfino qualche festeggiamento in patria (soprattutto in Bosnia).

Tutto si arenò in una delle più incredibili sessioni di calci di rigore della storia, caratterizzata dalla defezione di Osim (che ringraziò i giocatori, uscì dal campo e fu “sostituito” da Susic nella scelta dei tiratori) e dal grossolano e gravissimo errore dell’arbitro austriaco Rothlisberger, che con l’Argentina in svantaggio di un penalty invertì l’ordine della lista jugoslava e rimandò indietro Hadzibegic per far tirare prima Brnovic (sbagliarono entrambi).

Questi particolari, se possibile, aggiungono un po’ di rimpianto e riportano alla suggestione che ha ispirato il libro. Un’ipotetica (e, per la verità, non molto probabile) vittoria della squadra jugoslava avrebbe potuto cambiare anche in parte i eventi della ex Jugoslavia?

Riva risponde all’interrogativo in maniera netta - e diversa da quella di Osim – completando uno dei libri di sport più belli e giustamente apprezzati degli ultimi anni.

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