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"TODO SE PUEDE ENTRENAR"

Toni Nadal

Alienta -2015

Il libro, pubblicato per la prima volta nel 2015, è arrivato all’ottava edizione, con più di ventimila copie vendute. I dodici capitoli sono preceduti dalla dedica (al team Nadal ed in particolare al fratello Sebastian, padre di Rafael) e da una frase che rappresenta uno degli assi portanti dell’approccio alla vita ed alla professione di Toni: “chi non ha dubbi o è un fanatico o è uno stupido”. Il senso di questa affermazione è ripreso nella breve introduzione, in cui l’Autore chiarisce l’obiettivo dell’opera: non certo sentenziare o ergersi a maestro per tutti, ma solo spiegare il proprio metodo di lavoro che, nell’interazione con il nipote, ha portato a grandi risultati e che, pur basato su alcuni princìpi basilari, è sempre oggetto di discussione e cambiamento. D’altra parte, citando Einstein, dirà più avanti che è insensato attendersi risultati diversi, se si fanno sempre le stesse cose. Nel primo capitolo si traccia un rapido profilo della famiglia Nadal e ci si sofferma sul rapporto che ha legato allo sport vari esponenti di essa. Oltre ai successi del fratello Miguel Angel (ottimo difensore che ha militato nel Barcellona e nella nazionale spagnola), Toni ricorda anche l’abilità del fratello Sebastian nel calcio e la propria passione giovanile per varie discipline, tra cui il ping pong, gli scacchi, il nuoto ed il tennis. Quanto a Rafael, il suo talento pare essere stato innato. Toni ricorda che a tre anni, con una racchetta più grande di lui, il nipote riuscì a mandare una palla oltre la rete, tra lo stupore generale. Già da piccolo iniziò a frequentare il campo di allenamento, e lo zio si guadagnò la sua assoluta fiducia anche attraverso alcuni espedienti piuttosto comici (tipo spacciarsi, con la complicità di alcuni compagni di squadra del fratello Miguel, per un grandissimo ex giocatore di calcio, centravanti di una fantomatica squadra italiana che aveva dominato nel mondo annoverando nomi improbabili come Tortellini, Macaroni, Spaghetti, Carpaccio). Pur partendo dalla sua esperienza di allenatore e raccontando tanti interessanti aneddoti tratti dalla carriera del nipote, Toni Nadal delinea dei princìpi che possono trovare applicazione in un ambito più ampio di quello sportivo. Ed infatti, nel libro si trovano frequenti incursioni nel più generale tema della didattica e dei modelli educativi contemporanei, con le quali l’Autore sottolinea gli aspetti che a suo modo di vedere andrebbero migliorati. Resterebbe, invece, deluso il lettore che si aspettasse di trovare consigli o riflessioni legati alla tecnica tennistica. Nel libro non ve ne è la minima traccia: tutta la narrazione è volta a spiegare come si possono allenare “fondamentali” legati principalmente all’aspetto mentale e della personalità.

Il primo ad essere analizzato è la exigencia, che letteralmente richiama una forma di prevaricazione (la pretesa, l’esigere, da altri o da sé stessi) ma in quest’ambito può essere più fedelmente inteso come “forte aspirazione”, “slancio verso l’obiettivo”, ed ha dunque un’accezione positiva. Segue la actitud, ovvero la dedizione al raggiungimento di un obiettivo. Anch’essa costituisce una tappa fondamentale dello sviluppo caratteriale ed emozionale di una persona, e qui l’Autore introduce un’espressione divenuta piuttosto nota perché più volte citata da Rafael: buena cara.

 

Quest’ultima consiste in un atteggiamento mentale (e, di riflesso, esteriore) corretto, che garantisce la giusta direzione di marcia verso lo sviluppo del talento, definito da Toni Nadal non come l’abilità o la bellezza del gesto tecnico, ma come la capacità di miglioramento ed apprendimento continuo, l’andare ogni giorno un poco oltre il proprio limite. Come esempio di talento l’Autore cita Roger Federer, sostenendo che i suoi risultati sono dipesi molto più dalla capacità di accrescere il suo livello di gioco che dalla impareggiabile maestria dei suoi colpi. Un’altra caratteristica importante, sia per chi allena che per chi impara, è la simplicidad. Pur rimarcando l’importanza delle singole competenze, Toni non crede che tutte abbiano una valenza decisiva. In questo senso, il modello manageriale basato su gruppi di lavoro ampi e su issues immutabili (regole, slogan, strategie, rituali) viene considerato negativamente, perché nella sua

rigidità rischia di generare alibi e non abitua al ragionamento, al dubbio, alla capacità di trovare in

autonomia soluzioni ai problemi sempre diversi che si devono affrontare.

Nel capitolo successivo Toni Nadal introduce alcuni princìpi che ha tratto dalla filosofia greca, precisando che non intende atteggiarsi a filosofo né entrare in aspetti che meritano approfondimenti per lui impossibili. Di sicuro riconosce a quel fenomeno culturale, ormai lontano, la capacità di adattarsi a tante situazioni della realtà moderna. La prima citazione - tratta da un’opera di Platone - è di Solone, secondo cui “senza ordine, volontà, sforzo e sacrificio non sono possibili né il genio né il trionfo”. Toni condivide totalmente questa regola di vita, anche se riconosce che, come ogni regola, ha le sue eccezioni (esemplificate in Maradona e nei Rolling Stones).

Maggiore spazio viene dedicato alla capacità di miglioramento. Secondo l’Autore questa dote nasce da una naturale insoddisfazione per il proprio standard, che non deve sfociare nell’insicurezza o in fanatismo distruttivo ma al contrario dare autostima, nella consapevolezza che lo sviluppo delle proprie doti (non solo dei punti di debolezza ma anche di quelli di forza) è una componente necessaria per avere buoni risultati ed inoltre aiuta a mantenere sempre con i piedi per terra. Naturalmente, la capacità di miglioramento presuppone la consapevolezza che l’apprendimento costa fatica. Tornando sul più generale tema del modello educativo, l’Autore critica i tentativi di rendere necessariamente l’apprendimento agevole, semplice (cita un corso con questa finalità seguito dalla moglie, insegnante di inglese), A suo modo di vedere, occorre spiegare agli allievi che lo sforzo ed il lavoro non hanno una valenza negativa o afflittiva, ma non devono necessariamente avvenire in modo divertente. Il tema degli obiettivi, già accennato, viene ripreso ed approfondito nel settimo capitolo. Dopo averne elencato le caratteristiche fondamentali (elevati, adeguati, rinnovabili), Toni indica i quattro obiettivi principali che hanno guidato lo sviluppo della carriera professionistica di Rafael: 1) dopo il primo Roland Garros, eccellere rispetto ai giocatori spagnoli; 2) in seguito, arrivare al numero 1 del ranking e più in generale ai livelli di Federer (che Toni considera il tennista con un’assoluta supremazia tecnica ed estetica pur ribadendo perfidamente un paio di volte lo score del nipote contro di lui…); 3) poi, contrastare il tennis aggressivo di nuovi giocatori come Murray, Berdich, Ferrer, Del Potro ed ovviamente Djokovic (Toni ricorda di aver visto la prima volta per caso sul campo numero 18 di Wimbledon; subito dopo entrò nello spogliatoio del nipote e gli disse: “Rafa, abbiamo un problema”); 4) infine, uscire dalla comfort zone della terra battuta ed adattare il proprio gioco a superfici diverse. Anche in questo, nonostante i rischi, Rafa è stato assolutamente disponibile, arrivando a vincere tutti i tornei dello Slam a 24 anni.

 

Anche il tema della formazione del carattere viene citato più volte ed approfondito in un apposito capitolo. Partendo dalle testimonianze di persone che hanno vissuto esperienze di enorme difficoltà (in particolare Nando Parrado, che sopravvisse sulle Ande ad un disastro aereo e poi riuscì a trovare soccorso avanzando per mesi nella foresta insieme a suoi compagni di sventura),Toni Nadal ha rafforzato la convinzione che la capacità di reazione e di resilienza ha una componente naturale, genetica, ma dipende anche dall’ambiente familiare, sociale, culturale circostante (nel caso di Cerrado, ma anche per Rafael, gli insegnamenti e l’atteggiamento del padre) e comunque per una buona parte è… allenabile. Più il carattere sarà “allenato”, minore sarà l’incidenza del temperamento, ovvero della parte incoercibile e meno razionale della personalità. Per questo Toni afferma da un lato di non avere mai accettato gli atteggiamenti tipici di alcuni giocatori di tennis, come lo scoraggiamento, le grida e soprattutto il lancio o la distruzione di racchette (che gli pare anche a livello professionistico una imperdonabile mancanza di rispetto, oltre che un ingiustificabile spreco di denaro). Dall’altro,x sostiene in maniera convinta e per nulla paradossale che compito dell’allenatore è creare, non risolvere problemi all’allievo; ed in questo senso rivendica di essere stato lui, fin dagli esordi, il più grande problema di Rafael.

Il capitolo più lungo e più denso è dedicato alla gestione delle avversità, che secondo l’Autore avviene attraverso due strumenti: la responsabilità in relazione agli eventi che dipendono dalla nostra volontà, e la resistenza/resilienza (capacitad de aguante) per affrontare eventi che non possiamo controllare. La premessa necessaria è che incontrare avversità è naturale ed inevitabile. In proposito, Toni cita una frase del Dalai Lama (“chi considera le difficoltà come qualcosa di diverso dal normale è in cerca di alibi”) che rappresenta benissimo un atteggiamento da lui detestato e mai consentito al nipote: lamentarsi di fattori esterni per non allenarsi o non giocare al massimo delle sue possibilità. Il che, per la verità, è avvenuto in pochissime occasioni. Con un’annotazione probabilmente esagerata, che riflette un concetto basilare del libro di Brad Gilbert Winning Ugly, l’Autore rivendica il fatto che il nipote sia certamente “il tennista che ha vinto più volte giocando male”, ed afferma che ciò è stato possibile perché Rafael è riuscito a non dare eccessiva attenzione ed importanza ai fattori avversi, concentrandosi su quelli positivi e sulle opportunità che si sono presentate durante i match. Questa capacità può e deve essere allenata, a partire da un principio che nello sport (e non solo) ha avuto tantissime applicazioni pratiche: non bisogna mollare mai, assolutamente mai.

L’importante per Toni è concentrarsi su quello che si può fare, e farlo senza attribuire responsabilità ad altri fattori (un’altra tendenza della modernità che l’Autore contesta). Essere responsabili, dunque, nei termini prima precisati; perché (qui cita Yates) “E’ nei sogni che inizia la responsabilità”. A tale proposito vengono raccontate due finali (quella degli Australian Open contro Federer del 2009 e quella degli Internazionali d’Italia del 2010) a cui Rafael arrivò con problemi fisici che mettevano in dubbio addirittura la partecipazione, ma che si conclusero in modo positivo. Il concetto di responsabilità serve all’Autore anche per sottolineare il ruolo assolutamente preponderante del giocatore rispetto a quello dell’allenatore. Con eccessiva modestia afferma che ciò spiega perché il nipote non lo abbia mai sostituito con altri coach, neanche nell’unica occasione in cui fu lui stesso a suggerirglielo.

Gli ultimi due capitoli vengono dedicati al potere della parola (che per Toni costituisce lo strumento principale dell’allenatore, perché consente di stimolare la capacità critica dell’atleta) ed alla normalità e correttezza che devono caratterizzare tutti gli aspetti nella vita. Per l’Autore, nessuna persona può considerarsi speciale perché sa far bene o magari benissimo una cosa: in caso, dimostra di essere “especialmente tonto”. Per questo, afferma di considerare Rafael speciale in quanto nipote, ma non in assoluto. Al contrario, lo ritiene una persona del tutto normale, che ha saputo trattare allo stesso modo non solo gli impostori di Kipling citati fuori dal campo centrale di Wimbledon (il Trionfo ed il Disastro), ma tutti i colleghi e tutte le persone che ha incontrato, evitando atteggiamenti da star. Anche in questo caso si tratta di una tendenza che l’Autore vede svanire nella società moderna, in cui sembra che essere o almeno apparire arroganti sia utile per prevalere. Toni ribalta il concetto con un ultimo aneddoto. Pochi anni fa, durante una convention a Biella in cui si parlava più o meno di questo argomento, un imprenditore gli chiese se concordava sul fatto che tanti allenatori accetterebbero di avere un allievo maleducato, purché vincente. Toni non gli fece neanche finire la domanda, dicendogli che secondo lui era mal posta: un cattivo

carattere non rappresenta un asset per raggiungere buoni risultati, ma al contrario certamente un gravissimo ostacolo verso la vittoria ed anche verso la reale soddisfazione che lo sport deve ricercare. Perché il “come si vince” è più importante del vincere in sé. Questi aspetti comportamentali, più volte rimarcati, non hanno una componente esclusivamente “etica” e comunque non devono far considerare Toni Nadal come una persona inesorabilmente all’antica, rinchiusa in un mondo che non esiste più ed ostile alle innovazioni della modernità. Al contrario, come confermato anche dai brevi ritratti dell’Autore scritti all’interno di vari capitoli da Francis Roig, Carlos Moya, Carlos Costa e Jordi Arrese, la principale caratteristica della personalità dell’Autore pare proprio una inquieta e bonariamente burbera curiosità, con la quale mette ogni giorno in discussione tutto, a partire dalle proprie metodologie di allenamento.

Nel complesso, grazie anche alla vasta anedottica, il libro si rivela estremamente interessante, risponde alle (notevoli) attese e promette di avere importanti aggiornamenti nei prossimi anni.

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