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"UNDICI METRI - ARTE E PSICOLOGIA DEL CALCIO DI RIGORE"
di Ben Lyttlenton
TEA SRL - 2015

Quest’opera nasce da una grande passione e da un grande tormento. Ben Lyttleton, come tantissimi appassionati di calcio (me incluso), ha sempre subìto il grande fascino dei calci di rigore; da giornalista sportivo inglese, però, ha anche visto consolidarsi nel tempo un rapporto sempre più problematico tra il calcio britannico e questo gesto tecnico, ed ha quindi deciso di analizzarlo approfonditamente.
Il primo dei nove capitoli è intitolato proprio “La malattia inglese”, e menziona la dolorosa serie di eliminazioni dal dischetto fatta registrare dalla nazionale a partire dagli anni 90: con la Germania nei mondiali italiani e poi a Wembley negli Europei del 1996, con l’Argentina nel 1998, con il Portogallo nel 2004, con l’Italia nel 2012. Il tutto, intervallato dalla sola vittoria con la Spagna, sempre negli Europei giocati in casa. Un po’ troppo per essere una semplice casualità… L’Autore inizia con l’elencazione dei dati “macroeconomici” dei rigori nelle manifestazioni citate, e prosegue raccogliendo le dichiarazioni di alcuni dei protagonisti (Ricardo, Matthaeus, Southgate, Kuntz, Shearer, Ayala, Buffon, Pirlo). Entrambe queste fonti offrono alcuni spunti utili, anche se non decisivi per dare una spiegazione a questa sorta di complesso verso i calci di rigore, che – occorre osservare - per molti versi ha riguardato anche l’Italia, sia a livello di nazionale che di club (da Roma – Liverpool ai mondiali del 1990-1994-1998, fino agli europei del 2008).
Nel capitolo successivo, Lyttleton incontra Geir Jordet, un docente norvegese di psicologia dello sport che ha studiato con attenzione i profili di emotività e stress durante la sessione dei penalty, ed ha lavorato con buoni risultati per varie federazioni e squadre di club (anche il Milan, pare…). Le osservazioni del professore sono estremamente interessanti, e sottolineano un dato già citato da Shearer: il momento più delicato non è il tiro, né la preparazione o l’avvicinamento al dischetto, ma la gestione dell’attesa nel cerchio di centrocampo. Lì il tiratore designato sconta non solo la pressione del pubblico (presente e collegato), ma anche le aspettative del proprio team ed il peso della tradizione: più questa è sfavorevole alla propria squadra, più l’atteggiamento mentale rischia di essere negativo o addirittura rassegnato al fallimento. Un altro aspetto sottolineato da Jordet è legato alla gestione dell’errore, sia all’interno della sessione sia in caso di eventuale sconfitta. Queste conclusioni sono supportate da dati statistici e studi su specifici comportamenti (ad esempio, il tipo di rincorsa, il tempo tra posizionamento del pallone e tiro, la “strategia elusiva” di dare le spalle al portiere prima di calciare, il “pensare troppo” tra la concessione e l’esecuzione), ed offrono quindi preziose chiavi di lettura del fenomeno esaminato.   
Un altro studioso che espone considerazioni di estremo interesse è lo spagnolo Ignacio Palacios-Huerta. Si tratta di un analista che ha dedicato la sua attenzione ai rigori, divenendo anch’egli consulente di varie squadre – perfino dell’Olanda contro la “sua” Spagna nel 2010 – e poi dell’agenzia Soccernomics. Qui la trattazione del libro si sposta decisamente dalla psicologia alla statistica, citando dati assolutamente impressionanti per numero e precisione. Viene, tra l’altro, illustrata l’incidenza di singoli fatti (come tirare per primi nelle sessioni, giocare in casa, aver segnato per ultimi nei tempi regolamentari, far tirare i giocatori più affermati) e si cita anche una “variabile di rilevanza”, cioè, quali tra i 5 rigori sono più importanti per assicurarsi la vittoria. Palacios-Huerta, oltretutto, ha impostato i suoi studi accademici come specialista della teoria dei giochi, che trova nel calcio di rigore una rappresentazione praticamente perfetta. Mirabili, in questo senso, risultano i racconti di due portieri che sono riusciti ad indovinare le scelte di tutti i tiratori nella sessione che ha assegnato una coppa dei Campioni: Helmut Duckadam nella celebre partita vinta dallo Steaua Bucarest contro il Barcellona (1986) e Peter Cech in Chelsea-Bayern del 2008.
I capitoli successivi si occupano di altre tematiche importanti (il rapporto dell’arbitro con il rigore, il trauma del rigore sbagliato e talvolta perfino di quello segnato), fino ad arrivare a ciò che teoricamente dovrebbe essere un punto di partenza, ovvero l’allenamento del gesto tecnico. Secondo una scuola di pensiero - ben citata nel libro e patrocinata da autorevoli esponenti della categoria, come Shearer, Rooney e Cruyff – esercitarsi a tirare rigori in settimana e nell’imminenza dei match non ha molta (o alcuna) utilità, perché è impossibile riprodurre il clima di tensione presente in partita e soprattutto dopo i tempi supplementari. Questa teoria, oltre che da altri calciatori, è avversata dall’Autore del libro e da numerosi tecnici da lui interpellati. Tra essi, alcuni lavorano o hanno lavorato anche in sport diversi dal calcio, ma, data la complementarietà dello sport moderno (in cui ogni disciplina attinge ormai a principi e nozioni tipici di tante altre) la rilevanza del loro parere non può essere fondatamente contestata.
Ad esempio, dopo citazioni desunte dal golf e dalla pallamano, si cita il caso di un tecnico della nazionale tedesca che ha fatto esercitare i giocatori nel tiro con l’arco, concedendo un solo tentativo. 
Viene, poi, intervistato Sir Clive Woodward, direttore sportivo del Southempton e già allenatore della nazionale di rugby campione del mondo, che nel 2004 ha riproposto ai calciatori alcuni esercizi tratti da freccette e cricket, utilizzandoli per migliorare l’efficacia del drop (il calcio della palla ovale in mezzo ai pali effettuato da fermo). La tesi di Woodward è che, pur nella sua particolarità, il rigore è un gesto che soggiace alle comuni regole della biomeccanica, per cui può e deve essere allenato, cercando al contempo di riproporre (per quanto possibile) le condizioni di stress tipiche della partita. La trascuratezza fatalistica con cui il calcio inglese (e non solo…) ha trattato questo aspetto della formazione viene, dunque, individuato da Woodward e da Lyttleton come una delle cause dei ripetuti fallimenti in quella che viene a suo dire erroneamente definita la “lotteria dei rigori”.
Naturalmente, quanto finora osservato per il tiro vale anche per la parata, con un’unica ma fondamentale differenza: nel rigore, il portiere è molto meno responsabilizzato del tiratore. Il libro, comunque, contiene tante informazioni e testimonianze anche sulle tecniche e sui dati utilizzati per migliorare le performances degli estremi difensori. C’è, inoltre, un apposito capitolo dedicato ai portieri – tiratori (Chilavert, Ceni, Butt).
Le appendici del volume, destinate all’inquadramento storico del calcio di rigore, descrivono le ragioni e le modalità della nascita dapprima del penalty come strumento sanzionatorio, e poi delle sessioni volte ad assegnare la vittoria dopo i tempi supplementari.
In ultima analisi, a mio avvso si tratta di un libro molto piacevole e stimolante, perché, partendo da un argomento apparentemente futile e limitato, espone varie interessanti considerazioni di carattere scientifico, accompagnandole con tantissime belle storie e con le schede di alcuni personaggi rappresentativi (tra cui Le Tissier, Panenka, Harald Schumacher, Palermo).

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